Le banche di credito cooperativo di fronte alla sfida dell'economia sociale
Una riflessione del collega di Cassa Padana Stefano Boffini e del presidente onorario di Euricse Carlo Borzaga pubblicata nei giorni scorsi dal quotidiano Avvenire: "Gli istituti di credito hanno un ruolo centrale, sia nella dimensione più "ordinaria" di tipo finanziario, sia in quella più innovativa, tesa a favorire la definizione di adeguati assetti organizzativi, e la crescita di competenze e capacità gestionali".
Con il Piano di Azione lanciato dalla Commissione Europea, l'economia sociale pare essere entrata davvero a far parte integrante del modello economico e sociale europeo: un pensiero forte e un orientamento strategico da perseguire con decisione.
Per l'Europa l'economia sociale va considerata come uno dei pilastri centrali su cui si fonda la crescita di una comunità, perché persegue coesione sociale e tutela dell'ambiente.
L'adozione del Piano europeo di rafforzamento e sviluppo dell'economia sociale, e la raccomandazione agli Stati membri perché adottino piani nazionali di azione, rappresentano la prima importante tappa operativa.
La definizione di economia sociale adottata dalla Commissione Europea è ampia e comprende tutte le 5 storiche famiglie (associazioni, fondazioni, mutue, cooperative e imprese sociali, cioè le imprese in forma di società di capitali che sono riconosciute come sociali dalle legislazioni nazionali e regolamentate in modo che perseguano l'interesse generale e non abbiano finalità lucrativa).
Per l'Italia ciò significa che vi rientrano sia tutte le organizzazioni di Terzo settore che tutte le forme cooperative.
Le banche di Credito Cooperativo fanno quindi a tutti gli effetti parte dell'economia sociale e ne sono una componente fondamentale.
Per poter svolgere pienamente il ruolo strategico cui è chiamata, l'economia sociale ha però bisogno di consolidarsi, sia dal punto di vista patrimoniale e finanziario che da quello organizzativo e manageriale.
Rispetto a queste necessità da più parti è stato sottolineato il ruolo centrale degli istituti di credito, sia nella dimensione più "ordinaria" di tipo finanziario, ma anche in quella più innovativa, tesa a favorire la definizione di adeguati assetti organizzativi, e la crescita di competenze e capacità gestionali.
Tutti i principali gruppi bancari italiani (Intesa, Unicredit, Bper, BPM) sembrano esserne consapevoli e hanno già da alcuni anni costituito presidi dedicati al terzo settore, con prodotti, iniziative, strumentazione, rating dedicato e risorse destinate alla crescita di questo mondo. Il grande assente, almeno come immagine complessiva, sembra essere il Credito Cooperativo.
Ma non è così. Sono infatti molte le BCC impegnate nel sostegno al Terzo settore e in particolare alle cooperative e alle imprese sociali fin dalle prime fasi del loro sviluppo. Diverse tra esse hanno dato vita a fondazioni per rendere più visibile e incisivo il loro sostegno.
Quello che manca è una visione di assieme che, da una parte renda più visibile ciò che il Credito Cooperativo già fa e, dall'altra, aiuti a sviluppare una strategia comune. E sembra del tutto logico che questa funzione vada promossa e posta in capo ai gruppi bancari cooperativi, ormai ampiamente in grado di svolgere questa azione. Con il vantaggio di non partire da zero.
Alla base ci sono le competenze e le sensibilità su cui costruire. Ciò che serve per aumentare visibilità ed efficacia sono una strutturazione più efficace e un coordinamento più stretto. Sfruttando la relazione con i territori e i loro abitanti, insieme alla empatia derivante dall'utilizzo di un linguaggio comune, non sono necessari investimenti significativi.
Quello di cui si ha bisogno è piuttosto un presidio di competenze "leggero" a livello di capogruppo, a supporto delle singole BCC/casse rurali.
In ogni banca di credito cooperativo ci sono dipendenti che lavorano nella rete commerciale che, per sensibilità, vissuto, hanno le abilità necessarie per diventare punto di riferimento per il sistema locale dell'economia sociale.
Sono persone che molto spesso già operano nell'economia sociale, impegnate direttamente in associazioni sportive, fondazioni, parrocchie, cooperative, imprese sociali e così via. Le banche cooperative sono piene di questo tipo di persone che vivono a tutto tondo la comunità.
Non è quindi difficile individuare all'interno di ogni BCC figure professionali in grado di svolgere nei confronti dell'economia sociale non solo un ruolo proattivo di tipo bancario, ma anche di favorire la relazione, la contaminazione di questo mondo con quello delle imprese tradizionali, in linea con gli orientamenti strategici a livello europeo.
Questo ruolo può essere assunto anche dai referenti ESG, già presenti in tutte le banche di credito cooperativo, semplicemente potenziando questa funzione. Approcciarsi all'economia sociale solo con i soldi, senza dietro questo tipo di background, non funziona.
Lo hanno capito anche i grossi gruppi bancari che hanno destinato risorse importanti alla formazione dei dipendenti che operano in questo ambito. Tutti gli studi e i dati mostrano come l'economia sociale sia un segmento di mercato che ha una dimensione quantitativa crescente, con già un certo peso delle BCC tra i suoi finanziatori e si caratterizza per un basso tasso di sofferenze.
Il suo valore per un gruppo bancario cooperativo è però soprattutto di tipo qualitativo, di posizionamento, di rilevanza identitaria, di radicamento, di percezione da parte delle comunità locali, e di migliore conoscenza delle sue dinamiche.
Ci sono chiaramente altri segmenti di mercato strategicamente e dimensionalmente più importanti, ma seguire questo, e farlo in un certo modo, è una delle possibilità concrete che l'intero credito cooperativo ha per rimanere legato "mani e piedi" alle comunità, elemento che oggi viene presentato come distintivo anche nella comunicazione dei Gruppi e di Federcasse.
Certo, rimane centrale il ruolo bancario svolto in modo "differente" per famiglie e imprese che fa perno sulla relazione, sui finanziamenti, abbinati a servizi a tutto tondo, per favorire lo sviluppo e la creazione di valore nella comunità.
Posizionarsi in modo chiaro come partner privilegiato dell'economia sociale aiuterebbe a sottolineare queste specificità, contrastando la tendenza all'omologazione verso cui sta conducendo il contesto normativo. In conclusione, il sistema del credito cooperativo ha certamente sempre puntato su una relazione intensa con gli attori dell'economia sociale.
È venuto però il tempo per strutturare stabilmente questa attenzione, così da poter reinterpretare in modo nuovo, efficace e coerente le finalità statutarie, alla luce del contesto in cui viviamo oggi, e essere in grado di cogliere appieno le opportunità che si intravedono all'orizzonte.
Per continuare ad essere davvero promotori del bene comune.